Ascesa a Capanna Regina Margherita
Racconto dell’ascesa a Capanna Regina Margherita (4556 m.s.l.), il rifugio più alto d’Europa, sulla Punta Gnifetti (4556 m.s.l.) del Massiccio del Monte Rosa. 19-21 Agosto 1998 (versione ufficiosa…)
La Genesi
Correva, anche molto velocemente, l’anno del Signore 1998.
Mi trovavo, durante l’afoso Luglio Bolognese, in compagnia di alcuni miei amici di chiara fama alpinistica, ai Giardini del Baraccano.
Sorseggiandoci la nostra classica birretta corretta al daiquiri, disquisivamo sul da farsi.
Sicuramente il caldo rendeva le nostre menti lente ai riflessi ed ai nostri stimoli più reconditi.
Vagamente ricordavamo le fredde notti passate in tenda nei nostri Trekking estivi.
Ogni tanto, fra un sorso e l’altro, quando dalla purtroppo Bassa Collina Bolognese arrivava un poco di brezza, riuscivamo a connettere ed a proporre qualcosa di sensato.
Il Tibet, le Ande, l’Alaska, ormai nulla aveva più segreti per noi; soprattutto erano troppo lontani per essere meta di una spedizione da organizzare in pochi giorni.
Dopo qualche bicchiere, forse qualcuno anche di troppo, mi venne l’idea che avrebbe risolto anche per quest’anno il Trekking!
“Si va a Capanna Margherita!”
La mia era una affermazione mista di aspettativa e consensi.
Mai prima d’ora avevamo osato tanto!
La prima risposta fu pressappoco di questo tono: “O Roberto! O che tu hai? O che tu non reggi più la birra!?!?”
Altri, con molta cortesia, ma fermezza tipica di chi vive la montagna come un altare votato a chi sa chi, mi volevano portare alla Neuro per un accertamento psichiatrico.
La serata finì fra gli sfottò generali.
Pianificazione del Trekking
La mattina dopo, smaltiti i fumenti dell’alcool, rinfrescati dalla notte, che talvolta porta anche consiglio, fui svegliato di soprassalto dai miei amici che già, dopo una breve consultazione delle carte topografiche, spolveravano l’attrezzatura.
Lo sapevo! Non ero poi così fuori di testa!
L’appuntamento era la sera successiva, stessa ora, stesso posto, stesso tavolo.
Per evitare discussioni fuori luogo e cominciare ad organizzare la spedizione, sostituimmo l’amica birretta con la più classica delle acque di rubinetto, opportunamente raccolta nelle nostre borracce ed additivata di integratori vari, per cominciare ad abituarci alla vita in quota.
Prima cosa verificammo la disponibilità dei componenti della spedizione.
Convenimmo che il periodo giusto sarebbe stato verso la fine di Agosto, quando ancora il lavoro ci concedeva qualche scampolo di vacanza e le nostre compagne ci potevano concedere qualche piccola Libertà!
L’Ascesa sarebbe stata compiuta dal 17 al 23 Agosto 1998!
E’ inutile dire che quella notte la passai in garage, sotto la tenda, nel sacco a pelo!
Mai prima d’ora ero stato così emozionato per un trekking tanto impegnativo!
Passai tutta l’estate a pensare come organizzarmi al meglio!
Prima cosa buttai il pacchetto di Gouloise senza dalla finestra! Non volevo rischiare enfisemi con la quota!
Cominciai a puntare la sveglia ogni mattina un quarto d’ora prima fino a stabilizzarmi alle 4,30, orario in cui generalmente si va a letto la sera dopo aver bisbocciato e invece ci svegliamo per le Ascese.
Subito doccia gelata, per abituarmi al freddo del Ghiacciaio senza sole, due ore di footing ai Giardini Margherita per rifare il fiato, 50 flessioni sulle braccia e 40 trazioni alla sbarra erano ormai diventati il mio stile di vita.
Si parte per il Trekking
La mattina del 17 Agosto 1998, ci trovammo “tutti” i componenti la spedizione in Piazza Trento e Trieste: Io, il Pigno e lo Zacco!
Caricammo l’attrezzatura alpinistica e quella di sopravvivenza sulla mia macchina e partimmo. Destinazione Gressoney La Trinité.
Il viaggio di avvicinamento fu lento e lungo, nessuno di noi parlava, troppo era la sverzura per questa impresa!
Ho già vissuto queste sensazioni, devo dire che sono le solite di quando si è più che mai decisi nell’affrontare il proprio destino!
Arrivati a destinazione ci colse subito una brutta sorpresa.
PIOGGIA A CATINELLE!
Allestimmo subito il campo base ai piedi del Massiccio del Rosa.
La notte passò umida ma indenne.
La nostra tenda era già stata abituata a test ben più gravosi!
Subito cominciammo a scrutare la Montagna per capire quale sarebbe stata la via migliore.
Tuttavia un’amarezza interiore prendeva tutti noi.
Mai si sarebbe tentato nulla se il tempo non migliorava!
Per due lunghi giorni attendemmo con impazienza un minimo segnale dal tempo.
Ormai le nostre speranze erano ridotte a un lumicino.
Si avvicinava il giorno fatidico della ripresa delle attività lavorative e noi aspettavamo invano un tempo migliore.
Comincia l’Avventura!
La mattina del 19, fummo svegliati da un silenzio “assordante”.
La tenda non faceva più quel drammatico rumore simile ad un tamburo rotto provocato dal picchiettare della pioggia.
Subito ci precipitammo fuori dai sacchi a pelo a scrutare, nella penombra, il cielo.
Come d’incanto tutte le nuvole erano sparite; dal terreno umido si alzava un odore penetrante misto di funghi e muschio.
La luna splendeva ancora in cielo come mai l’avevamo vista!
La sua luce flebile si stagliava sul Ghiacciaio e sembrava invitarci più che mai all’Impresa!
SI VA!
Preparato il necessario alle 5,00 siamo già in cammino verso la prima tappa: Ghiacciaio di Garstelet, dove avremmo allestito il secondo campo.
La gioia di questa Impresa riempie i nostri cuori di una particolare emozione.
Dapprima attraversiamo i boschi ed i ruscelli del fondovalle.
In questi frangenti spesso, per rompere la monotonia, aspettando l’alba, ci divertiamo a creare strane figure con la torcia e a deformare i nostri volti sino ad assumere la sembianza di Spettri o Folletti della Montagna.
Dopo circa un’oretta di cammino, il bosco comincia a diradarsi, segno che stiamo crescendo di quota.
L’alba ci coglie fuori dal bosco e stagliandosi sul ghiaccio delle creste vicine ci rinvigorisce gli animi.
Controllo sul mio Sextuple Sensor la quota: siamo ancora a 1976 m.s.l.!
Il Sextuple Sensor, per precisione di narrazione, è la versione spinta di acquisizione ed elaborazione dati del noto Casio Twin Sensor, gentilmente offerta dal nostro sponsor: la Booby Ltd.
Con un urlo sferzo i miei compagni: “Si batte la fiacca qui! Siamo saliti solo 300 metri in tutto questo tempo!”
Purtroppo, a volte, le tappe di avvicinamento sono la parte più tediosa dell’Impresa, ancora non si assapora il vero gusto della Montagna!
Lasciato alle spalle il lago Gabiet (2367 m.s.l.), ormai ne avevamo visti tanti, proseguiamo verso il punto che avevamo fissato per il ristoro: Passo dei Salati.
Alle 9,15 siamo al Passo dei Salati (2930 m.s.l.).
Qui effettuiamo una breve sosta, ne approfittiamo per bere un poco di soluzione G21 al 42%, detta “La Bomba”, e mettiamo anche qualcosa di solido nello stomaco: Gallette al cocomero, ricche di acqua e sali.
Da qui ci incamminiamo verso la prossima meta: il Ghiacciaio d’Indren.
Alle 10,45 effettuiamo la solita sosta tecnica: il Ghiacciaio incombe!
Come al solito, in un silenzio spettrale, prepariamo la cordata.
Con qualche battuta, il Pigno, sempre fuori luogo in questi momenti di tensione, cerca di sollevare la frenesia dello Zacco, convertita in ansia da Ghiaccio!
Questa, qui a sinistra, è stata più o meno la sua reazione alla vista del Ghiacciaio!
Siamo pronti!
Controllo, sul mio fedele compagno di avventure, il solito Sextuple Sensor, la quota per appuntarla nel giornale di trekking: “Ore 10,57, quota 3300, inizia il Ghiacciaio”.
Mi lascio cogliere quasi da un fremito, era tanto che aspettavo un momento così!
Il Pigno mi consiglia di aggiungere: “E vai col rock and roll!”.
E’ inutile dire che è riuscito a rovinarmi un momento così poetico con la sua classica facezia!
La cordata è così composta: in testa il Pigno, io in mezzo, dietro lo Zacco: FORMAZIONE TIPO!
I ramponi cominciano a mordere il ghiaccio, che rompendosi sotto la pressione dei chiodi, crepita in un suono talvolta simile alle maracas: ma questa è un’altra storia!
Procediamo tranquillamente in leggera pendenza fino a quando, un primo seracco, costringe a fermarci a riflettere.
Ormai sono sette ore abbondanti che camminiamo, siamo ad una certa quota, sentiamo che il fiato comincia a farsi più pesante, cominciamo a sentire nelle gambe la lunga marcia già percorsa.
Fortunatamente, più in alto, intravediamo un passaggio facile.
Questo ci costringe a salire rapidamente di quota, ma passiamo senza dover saltare.
A volte ci fermiamo per ammirare lo spettacolo che ci circonda.
Con una rapida occhiata riguardo il tragitto percorso: in basso la valle, il sentiero fuori dal bosco, la salita fino all’inizio del Ghiacciaio, prima più sporco, dove la montagna scarica, poi fino ai miei piedi dove il bianco candore si confonde con i riflessi del sole.
Abbiamo scelto un buon punto per attaccare il Ghiacciaio.
Se solo lo avessimo attaccato prima avremmo avuto sicuramente più problemi.
Davanti a noi il bianco del ghiaccio fa contrasto con l’azzurro del cielo.
Alle 13,15 siamo fuori dal Ghiacciaio, nonostante qualche crepaccio che abbiamo agevolmente passato.
Ci troviamo alla base di una piccola parete rocciosa che ci divide dalla nostra prima tappa: il Ghiacciaio di Garstelet.
Ci togliamo i ramponi e subito, senza esitare, attacchiamo questo piccolo quarto.
In una mezz’oretta, attraverso aperture ben protette, ci attrezziamo la via e saliamo.
Alle 14,50 siamo sul fianco del Ghiacciaio di Garstelet.
Subito prepariamo il pranzo.
Decidiamo, infatti, di non alzarci ulteriormente per non affaticarci troppo.
Il mio Sextuple Sensor indica 3590 m.s.l.
Non ha infatti senso proseguire, è meglio bivaccare qui, sulla roccia: dopo è tutto ghiaccio!
Consumiamo il pasto: prosciutto liofilizzato e pane integrale, pasta al sugo disidratata, e per finire barretta alla saint-honoré.
Difficilmente lasciamo a casa il dolce!
Trascorriamo il pomeriggio ammirando il paesaggio; il sole ci regala un certo tepore interrotto da alcune raffiche di vento.
Non ho mai capito il motivo, ma in questi momenti di relax, si parla di tutto.
E’ difficile spiegare cosa succede, se è l’ambiente, la fatica, la mancanza di ossigeno, ma spesso, ci ritroviamo a confrontarci e a disquisire delle problematiche più recondite.
Con la Montagna non si scherza!
La Montagna, infatti, a volte porta consiglio, a volte ti sfida, a volte ti rigenera, a volte…
Quando torneremo a casa sappiamo tutti e tre che questa non è solo una carburazione fisica!
Alle 18,00 decidiamo di piantare la tenda, il sole, infatti, comincia a giocare a nascondino con le cime attorno.
Preparato il nostro piccolo campo, ci ritroviamo, come tante altre volte, attorno al fornelletto a prepararci la zuppa.
Che buona!
Alle 20,50, dopo un buon punch, siamo nel sacco al pelo.
Abbiamo sette ore di sonno davanti a noi; ne dormiamo si e no quattro!
Infatti, nessuno di noi ha voglia di dormire, è troppa l’attesa per il grande balzo che ci porterà, se tutto va bene, a quota 4556.
Zzzzzzz…
Adesso viene il Bello!
Alle 4,00, puntuali come un orologio svizzero, siamo tutti fuori dalla tenda, un poco indolenziti, ma carichi come delle Molle da Topi.
Facciamo colazione: cocktail di frutta secca [mango, papaia, cocomero, avocado, maracuja, ananas, kiwi e prugne (le ultime per il noto effetto benefico all’intestino)], latte condensato e caffè d’acero, crêpes col miele (in polvere), ‘na bella ‘matriciana liofilizzata e due fette di polenta con gli “usei”. Niente cioccolato che ingrassa.
Si ricompone la cordata. La formazione non la ripeto, un’altra volta prestate maggiore attenzione alla lettura!
Alle 4,25 si riparte, due passi e siamo di nuovo sul ghiaccio.
Per circa un’oretta procediamo sul Ghiacciaio del Garstelet, fino a quota 3700.
A questo punto dobbiamo trovare un passaggio a sinistra per portarci sul Ghiacciaio del Lys.
Non siamo saliti direttamente da qui perché, in questo periodo, è troppo pericoloso.
Con il sole all’altezza degli occhi vediamo a stento dove passare.
Incontriamo qualche piccolo crepaccio che si apre sotto la neve.
In questi momenti procediamo con molta cautela.
Il Pigno, sempre in testa alla cordata, sonda il ghiaccio, Io e lo Zacco, facciamo sicura.
I ponticelli di ghiaccio, fortunatamente, sono ottimi e solidi.
Qualche altro passaggino, un poco impegnativo, e siamo a procedere sulla parte superiore del Ghiacciaio del Lys.
Qui, in leggera pendenza, saliamo fino a quota 3950.
Sono ormai le ore 9.00, e davanti a noi c’è l’ultimo tratto, circa 250 metri di salita su ghiaccio verde.
Superato questo ostacolo, potremmo finalmente vedere la nostra meta: Punta Gnifetti!
Procediamo in salita, stando attenti a non sudare troppo.
Questo non è per motivi igienici o per non emanare sgradevoli odori.
Il vento sulla piccola cresta che stiamo scalando, una volta giunti in quota, potrebbe renderci simili a ghiaccioli al tamarindo!
Alle 11.00 siamo sulla cresta che divide il Ghiacciaio del Lys dal Ghiacciaio del Grenzgletscher.
Qui il vento è davvero sferzante, sembra una falce che ci sega le gambe.
Il freddo è pungente, subito attiviamo i sacchetti di 38NCD5 allo stato bonificato, termoregolatori della temperatura corporea.
I nostri pile in fibra ceramica, che avevamo preso l’anno scorso per la spedizione alle Svalbard, sono, infatti, al limite in queste condizioni! N.B. Qui ne indossiamo uno solo, alle Svalbard erano due…
Subito ci abbassiamo qualche metro per rimanere più protetti dal vento.
Piantiamo le nostre piccozze e con qualche chiodo a carota ci attrezziamo una piccola sosta.
Visto che sono ormai sei ore che camminiamo, ne approfittiamo per un piccolo spuntino.
Davanti a noi lo spettacolo è memorabile: Punta Gnifetti si staglia sorniona sopra a tutte le altre.
Ecco la nostra meta!
La guardiamo con uno sguardo intenso, misto di ansia e fatica.
Ormai non manca molto.
Sembra!
Forse sto vendendo la pelle dell’orso senza averlo ancora catturato!
Ci vorranno ancora cinque ore di sacrificio e difficoltà prima di poter dire “Eccoci!”
Mangiamo il nostro classico pranzo.
Il sole rende possibile l’utilizzo del microonde a cellule solari.
A questo punto il Pigno si sbizzarrisce e indossati i panni e il cappello dello chef ci prepara quanto segue:
Antipasto misto di scoglio.
Tris mari e monti: risotto alla pescatora, tagliolini gamberetti e funghi, tortelli di zucca.
Porchetta di maiale arrosto condita con sugo di quaglia, capperi ripieni alla fettina di manzo (che sono leggeri e si digeriscono bene).
Polenta fritta con salame a tocchi grossi (questa è un pochettino più pesantina).
I vini: Cannonau, Nero Di Tufo, Passito Di Pantelleria.
Tiramisù allo zabaione (per l’energia dell’ultimo strappo).
Spumante Ferrari, che va giù veloce (lo champagne è un po’ più lento e costoso).
Caffè Moro.
Scelta di grappe varie [banana, ananas, avocado, papaia (classici gusti della montagna)].
E per mandare giù tutto la solita soluzione G21 al 42%, detta … come vi ricorderete.
MAGARI!!!
Solite gallette al cocomero (queste, però, di un’altra marca, sono più realistiche perché hanno anche dei puntini neri dentro per simulare i semi).
Lo Strappo Finale!
Richiuse le vettovaglie nello zaino, ci mettiamo in cammino.
Inizialmente la via prosegue in leggero declivio, costeggiamo due enormi crepacci. Non sono però così imponenti come quelli del Perito Moreno! Fa lo stesso.
Proseguiamo a mezza costa fin sotto la cima: da qui inizia lo strappo finale.
Ci fermiamo un attimo a guardarci in faccia l’un l’altro per verificare la nostra tenuta fisica. I nostri volti esprimono la fatica e la sofferenza del cammino percorso.
Il mio Sextuple Sensor segna quota 4261, 109 battiti al minuto, sudorazione copiosa e soprattutto vedo la Madonna! (non la cantante, quella di Gesù Bambino).
L’aria rarefatta si fa sentire!
Con passo lento ma giustamente deciso e cadenzato riprendiamo il cammino.
Inizialmente si sale ripidi su un costone ghiacciato. Passo dopo passo, un piede avanti l’altro, avanziamo fino ad una piccola sella.
Sextuple Sensor 4308, battiti cardiaci 134, vedo San Giuseppe!
Il cammino si inerpica a destra, si continua a salire.
Sextuple Sensor 4376, battiti cardiaci 141, vedo il Bue!
La via comincia a farsi veramente impegnativa. Siamo su un ripido costone.
L’attenzione è massima! Un errore qui ci farebbe precipitare per oltre 400 metri sul ghiaccio.
Sextuple Sensor 4428, battiti cardiaci 153, vedo l’Asinello!
La via sale sempre più. Devo ritrovare tutte le mie forze più recondite per andare avanti.
Sorseggio un po’ di soluzione ATR42 al 88% detta “Si vola!”. Mai nessuno aveva osato assumere quella soluzione così concentrata! Con uno sforzo deglutisco tutto il pustrone.
Sextuple Sensore 4495, battiti cardiaci 165, mi scappa la pipì, sono bagnato fradicio, mi sento le gambe come un frullatore! Vedo la Capanna!
Procediamo ancora: ormai la via è quasi verticale!
Ci arrampichiamo appesi alla parete ghiacciata. Spesso è il Ghiacciaio che si appende a noi!
Le nostre benne mordono il ghiaccio in modo sempre più deciso, siamo in cresta!
Avanti 100 metri ecco Punta Gnifetti.
Sextuple Sensor 4543, battici cardiaci 171,3 periodico. Sono piegato in due sulle ginocchia. “Che bel Presepe!” esclamo in venerazione quasi mistica! “Voglio farmi Frate Carmelitano Scalzo!”, ribatto con decisione!
Il Pigno e lo Zacco mi guardano con un’aria verdiana degna del Trovatore.
“Il Melucci è entrato in crisi mistica!”
Con un sorriso a 33 denti (non tutti sono perfetti) cercano di spiegarmi che quello che vedo non è il Presepe di Betlemme, ma Capanna Margherita.
Viste le mie scarse reazioni agli stimoli, mi fanno assumere l’ennesima pozione magica.
Quest’ultima è un preparato sperimentale del dott. Conconnini, noto dopatore di atleti, di cui ancora non si conoscono gli esiti collaterali.
La soluzione si chiama APOLLO 13 detta “Viaggio sulla Luna!”
Subito parto a razzo con un rilevante spostamento d’aria e neve, dovuto al risucchio aerodinamico, lasciandomi dietro un leggero odore di polvere da sparo.
Siamo al rifugio: Sextuple Sensor 4556, battiti cardiaci 82, respiro benissimo.
Anche questa volta il dott. Conconnini ha fatto il miracolo! Non ho effetti collaterali palesi a parte:
1) mi sono cresciute le ciglia di 10cm.
2) mi gocciola il naso (ma lo faceva anche prima)
3) ho una diarrea mostruosa!
Mi slego subito e lascio quei due incapaci a riporre l’attrezzatura! Fa un freddo porco e non ho voglia di aiutarli! Bastardi! Si sono sbagliati e al posto dell’APOLLO 13 mi hanno dato un beverone concentrato di Guttalax e Falqui.
Vado di corsa in bagno e faccio consecutivamente 17 scariche per smaltire! (record alpino)
Con mia grande disperazione scopro che non c’è la carta igienica! Devo fare tutto alla vecchia con le banconote da 10!
Mai un Trekking mi era stato così costoso!
Il Rifugio Capanna Margherita
Siamo arrivati!
Gliel’abbiamo fatta! Evviva!
La nostra gioia è incontenibile!
A Bologna la notizia della nostra Impresa è giunta agli amici che ci seguivano sull’impianto satellitare.
E’ inutile dire che sui viali si forma un corteo di automobili che arrecano le nostre effigi sulle bandiere e sugli striscioni! Si narra che taluni, volendo emulare le nostre gesta, abbiano tentato la salita al colle di San Luca senza riuscirci!
Nel rifugio, bellino e soprattutto caldino, troviamo ottima accoglienza. Dopo aver cenato a base di ostriche vive, andiamo a nanna.
Il giorno dopo, sveglia come al solito, un’alba incredibile ci sorprende “in cima al mondo”!
Fatta colazione si comincia scendere.
Per fare prima, estraiamo dagli zaini le camere d’aria per copertoni da camion che in genere ci portiamo appresso: possono sempre servire…
Con due soffiate di quelle giuste, a 4556, sempre col Sextuple Sensor, veramente multifunzionale, le gonfiamo a 1,9 bar; mettiamo il tappino sulla valvola e via! Come dei bimbi scemi scendiamo a valle con questo nuovo mezzo tra lo slittino e il canotto.
Lo Zacco, sempre geniale, lo ha pure dotato di timone, deriva e di uno spinnaker recuperato da Azzurra con cui riesce pure ad andare in salita!
In un battere di ciglio siamo a valle.
Un piccolo capannello di curiosi si forma attorno a noi.
In fretta riponiamo l’attrezzatura in macchina e partiamo per Bologna.
Mentre andiamo, notiamo una strana concitazione in paese e un automezzo del SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) procedere in direzione opposta alla nostra.
Non ci facciamo molto caso, ma il giorno dopo ci giunge voce che sull’Eco di Gressoney c’era scritto: “Eccezionale avvenimento sul Monte Rosa! Ieri tre oggetti non identificati sono scivolati sul Ghiacciaio precipitando fino a valle! Nella loro caduta hanno scavato tre solchi profondi un metro! Stranamente nessuna traccia è stata rinvenuta. Gli scienziati stanno indagando”.
Eravamo stati noi!
Con l’attrito dei nostri bolidi sul ghiaccio e le eccezionali velocità raggiunte avevamo sciolto il ghiaccio!
Sull’autostrada, da ogni ponte, pendono stendardi posti dal nostro pubblico.
Il più simbolico e commovente era pressappoco così: “Melucci, Pigno & Zacco: I tre Cavalieri dell’eterno riposo!”.
Giunti a Bologna nella nottata, ci viene incontro il Sindaco con la fascia e ci consegna le Chiavi della Città.
Io avrei preferito quelle del Gabinetto perché ancora non ero al meglio della condizione!
L’Epilogo
Siamo tornati alla solita vita quotidiana.
Capanna Margherita rimane ormai un ricordo. Forse uno dei più belli.
Domani si torna al lavoro…l’anno prossimo sarà un’altra Storia!
Ovviamente, non sappiamo ancora quale sarà la destinazione del prossimo Trekking, ma una cosa è sicura: useremo l’esclusivo FCC 4298/C…
Post Scriptum
Forse nel racconto ho esagerato un pochino…
In effetti, tutto ciò che ho scritto corrisponde esattamente alla realtà … della fantasia!
A Capanna Margherita, comunque, ci siamo andati davvero ed è stata, per noi alpinisti della Domenica pomeriggio, una grande esperienza…
Il testo è stato scritto, in gran parte, dallo Zacco (io non riesco proprio a scrivere così male!).
Per la versione ufficiale, accompagnata anche da immagini, clicca qui.